Nel 2017 il 39enne Emmanuel Macron ha conquistato la Presidenza della Repubblica francese alla guida del suo movimento En Marche!, (le iniziali sono identiche a quelle del suo nome), un movimento dal basso fondato nel 2016.
Nell’epoca della fast politics l’esperienza del macronisme è stata una delle migliori realizzazioni concrete dei tratti salienti del Marketing politico. I successi personali ed elettorali di Macron non devono nulla al caso: rappresentano il risultato dell’implementazione di strategie algoritmiche e dimostrano come il marketing elettorale in Francia abbia assunto una nuova dimensione. En Marche! ha progettato una campagna elettorale attrattiva riuscendo a mobilitare i cittadini che si erano allontanati dalla politica, utilizzando algoritmi e social network – e beneficiando per farlo dell’assistenza di specialisti della società civile al di fuori delle consuete reti politiche. L’analisi della narrazione di Macron dimostra la sua abilità nel presentarsi come un candidato outsider tattico (secondo la distinzione di King tra outsider sociale, psicologico e tattico) e anti-sistema. Pur avendo un passato arcinoto nelle banche d’affari e un ruolo di rilievo nel governo di Hollande, di cui era a tutti gli effetti il braccio destro, Macron si è presentato come outsider e ha sfruttato, così, la diffidenza dell’opinione pubblica verso il sistema politico e i partiti tradizionali, segnalata da molti anni dai sondaggi, e ha proposto la narrazione di un candidato nuovo, estraneo all’establishment politico, avversario dei politici che hanno a turno governato la Francia difendendo i propri privilegi contro gli interessi del popolo.
Macron ha avuto l’intuizione di fondare il rinnovamento politico su una base innovativa caratterizzata da nuovi simboli e nuove emozioni. Una sorta di gramscismo al contrario: mentre il fondatore del Partito Comunista Italiano era convinto che le vittorie elettorali si fondassero sulle vittorie culturali e sulla conquista del terreno delle idee, Macron fa il contrario: è la vittoria elettorale che gli permetterà di condurre la tanta agognata battaglia culturale che punta a rifondare la politica francese.
Macron ha costruito un “marchio”, la marque Macron, che ha avuto un enorme successo durante la campagna elettorale del 2017, e ha saputo affrontare la prova dei fatti ed alcune difficoltà relative alla gestione del potere ricorrendo ad un’azione efficace di re-branding.
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Se dovessimo analizzare il macronisme alla luce del modello di Marketing politico elaborato da Jennifer Lees – Marshment, il nostro casto di studio può essere iscritto nell’ambito del Market – oriented Party (MOP).
La variante MOP descrive una traiettoria precisa per vincere le elezioni: i politici e i partiti devono utilizzare le ricerche di mercato per raccogliere dati importanti sull’opinione pubblica e progettare il prodotto (e il marchio) sulla base dei desiderata degli elettori. Si tratta, quindi, di dar vita ad un progetto che gli elettori sono pronti a sostenere. Un orientamento al mercato implica che il politico o il partito sia consapevole e reattivo alle preoccupazioni degli elettori e lo dimostri tenendone conto nella realizzazione del prodotto politico, che dovrà essere in grado di soddisfare le richieste del mercato.
L’ascesa di Macron è un percorso personale contrassegnato da una accuratissima costruzione dell’immagine e del racconto di sé, che si dispiega tra vita intima e personale, visione sul futuro del Paese e legittima ambizione. La sua stessa immagine finisce per delineare quella visione del progresso inteso come riuscita e successo individuale che si era incarnata nell’ottimismo della Terza Via. Secondo Taguieff la questione non è tanto quella della competenza, “quanto quella di un nuovo rapporto, più individualista, sentimentale, moralizzante, con gli affari della città. Proprio questo costituisce uno degli elementi di fascinazione del fenomeno Macron presso i suoi giovani adepti, che va oltre il campo strettamente politico”.
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Nella fase di market-intelligence, il partito di Macron ha utilizzato le più recenti tecniche ed esperienze di grassroots(riprese in particolare dalle campagne di Barack Obama) e ha realizzato prima del lancio di En Marche! un’indagine su larga scala della popolazione francese: più di 5.000 volontari hanno condotto interviste approfondite, della durata di 40-45 minuti, con 25.000 persone per comprendere il loro punto di vista sulla Francia, sui problemi che incontrano nella vita privata e nelle loro comunità, sulle loro aspettative riguardo al futuro. Il risultato è stato un documento di diagnosi di 176 pagine che ha rappresentato una sorta di cahier de doleances che ha permesso di costruire il prodotto politico.
La seconda fase è quella del design – product, fase in cui si costruisce il prodotto o il marchio politico sulla base di quanto emerso nelle attività di intelligence. Gli strateghi che hanno accompagnato Macron si sono posti alcune domande:
- esiste uno spazio di mercato sufficientemente ampio da conquistare politicamente?
- il prodotto – partito che si vuole proporre è veramente differente rispetto ai concorrenti già in campo? E’ in grado di essere realmente attrattivo?
- ci sono barriere all’ingresso che impediscono di essere competitivi?
Partendo da questi interrogativi, En Marche! ha saputo ritagliarsi ben presto una sua dignità politica rilevante, fondata su un programma elettorale “partecipato” e aperto capace di soddisfare la domanda di tutti quegli elettori delusi dalle forze politiche principali.
Il prodotto costruito da Macron è costituito da tre livelli, un livello assiologico (i valori), un livello narrativo (la storia, la narrazione) e un livello estetico (codici visivi e discorsivi).
Questa classificazione ci permette di introdurre la prima criticità riscontrata dal macronisme nella fase di design-product: Macron ha posto alla base del proprio storytelling una serie di valori contradditori tra loro, continuità/discontinuità, rivoluzione/conservazione, sinistra/destra, orizzontale/verticale, antico/moderno. Questo sistema valoriale antitetico ha portato alla nascita di un prodotto politico neutro, secondo l’etimologia latina di ne-uter, né l’uno né l’altro. Si tratta della ricerca di una terza via, che dalla conquista dell’Eliseo in poi è apparsa eccessivamente fluida e poco “misurabile”.
La terza fase è quella del product adjustment, il momento in cui il prodotto viene modulato e subisce i primi aggiustamenti. In questa fase si consolida l’offerta al mercato elettorale attraverso un’accurata analisi degli avversari volta a dare enfasi agli elementi di distinzione e l’individuazione di aspetti tecnici per raggiungere i segmenti di elettorali più utili per vincere le elezioni e aumentare il consenso.
Uno degli elementi fondanti il successo di Macron e di En Marche! è stata la forte differenziazione rispetto agli avversari politici. Pur avendo una solida storia politica alle spalle, Macron si è presentato come un volto nuovo, un outsider, offrendo di sé un’immagine politica al di sopra dei partiti.
L’azione del leader avviene quindi grazie alla sua capacità di produrre narrazioni. A chi gli chiedeva nell’agosto del 2016 a cosa servisse En Marche! Macron risponde “Offrire una diagnosi e costruire un progetto di cambiamento del Paese con tutti i francesi”. Macron ha offerto la diagnosi generale del malessere del suo Paese, cavalcando la crisi che scuoteva la Francia tra il 2016 e il 2017.
Questa retorica ha costruito un clima di fiducia intorno all’offerta politica del macronisme, e ha spinto a considerare i partiti tradizionali e le elite nazionali e locali come gli unici responsabili della crisi. Macron ha costruito un forte dualismo tra partiti tradizionali e cittadini, e si è auto-proclamato paladino di questi ultimi.
Un’altra caratteristica del product – adjustment è il raggiungimento dei segmenti elettorali prioritari per trionfare alle urne.
L’agenzia Liegey-Muller-Pons è tra gli artefici dell’ascesa di En Marche! e del successo della strategia di marketing di Macron. La costruzione del prodotto da presentare agli elettori è stata stabilita in buona parte dalle evidenze raccolte con i software gestionali. Tra questi, il più noto è il software 50+1 che ha combinato tutti i dati disponibili su decine di migliaia di territori con un modello predittivo per comprendere le sfide di un territorio e analizzare l’opinione pubblica locale. E’ stata avviata, successivamente, la costruzione delle diverse strategie di comunicazione per presentare il prodotto a questi elettori target nel modo più efficace (la scelta del miglior candidato) ed efficiente (minor costo da sostenere) possibile.
I consulenti di Macron in questa fase di costruzione del prodotto elettorale hanno diviso la città di Parigi (ma anche le altre città della Francia) in 869 distretti, al fine di determinare successivamente i 200 distretti più utili ai candidati. L’algoritmo ha permesso di conoscere, inoltre, quale proporzione di non votanti era possibile mobilitare e quanti indecisi era possibile persuadere.
Queste opportunità predittive hanno permesso a Macron di costruire un’offerta politica ampiamente segmentata con un chiaro riferimento ai target costruiti sulla base di una grande disponibilità di dati.
Nella fase dell’implementazione, tutti i dati raccolti grazie all’algoritmo sono stati “messi a terra” nella costruzione del marchio e del prodotto. Il nuovo design di En Marche! ha continuato a provocare un forte entusiasmo tra gli aderenti e i simpatizzanti, come testimonia il successo della campagna di fund raising e il riscontro immediato di una moltitudine di “fans”. Quando Macron ha annunciato la “Grand Marche” il movimento aveva a disposizione un indirizzario con 50mila mail, tra questi contatti in 14 mila hanno risposto dimostrando un certo interesse e in 6 mila hanno partecipato attivamente alla campagna elettorale.
La quinta fase è quella della comunicazione che nel caso di En Marche! è stata organizzata con cura maniacale, quasi scientifica, per veicolare il nuovo prodotto politico. Nella comunicazione macroniana trova spazio il linguaggio del cambiamento. Sofia Ventura ha analizzato i discorsi di Macron in campagna elettorale e ha ricostruito una forte preponderanza di termini quali “cambiamento”, “trasformazione”, rifondazione”, “innovazione”, “rinnovamento”, “rivoluzione”.
Il marchio politico di Macron ha aggiunto una serie di valori ulteriori tra i quali si segnala la libertà dell’individuo. Il futuro capo dell’Eliseo ha costruito una strategia di comunicazione parlando direttamente ai cittadini, ai francesi, al popolo. Si è trattato di un dialogo continuo e interattivo: parlare alla gente, ascoltare la gente, soddisfare i bisogni politici della gente.
Nel vocabolario macroniano l’io è rimasto centrale, ma è incarnato nell’immagine di un leader che si è impegnato nella trasformazione della politica del suo Paese e ha assunto la responsabilità di indicare la direzione verso la quale è necessario progredire.
Macron si è presentato come colui che ha saputo cambiare il sistema politico e il modo di fare politica in Francia e lo ha fatto ricorrendo ad un approccio collettivo di continua interazione con i cittadini.
I tratti salienti della sesta fase, la campagna elettorale, sono stati in parte già affrontati nei capitoli precedenti. I mesi precedenti al voto hanno sancito il trionfo del macronisme. Sofia Ventura ci presenta il presidente francese come un novello Giove interessato a dare di sé un’immagine di leader outsider, stabilmente collocato dalla parte dei cittadini e contro le elites politiche.
In questa fase sono emersi anche una serie di limiti del carisma di Macron, limiti tuttavia ampiamente superati dalle strategie di marketing e in alcuni casi di costruzione della ambiance delle apparizioni pubbliche del leader. Nel video dell’evento pubblico a Lione nel febbraio 2017 si nota una integrazione tra la postura del leader e la scenografia che gli è stata costruita intorno. I supporters sono stati coordinati in maniera magistrale attraverso Whatsapp e Telegram e il risultato è duplice: una folla festante che acclama Macron e un leader dai tratti carismatici. Ne viene fuori una atmosfera fabbricata per manipolare l’emozione dello spettatore e la percezione dei media.
In piena campagna elettorale, inoltre, si sono svolti due dibattiti televisivi tra i 5 principali candidati. Il primo è andato in scena il 20 marzo e ha visto il trionfo di Macron, risultato vincitore con il 29%. Il secondo dibattito è stato vinto da Melenchon (La France Insoumise) con il 20% seguito da Macron con il 19%. Cosa emerge da queste riflessioni? Quella di Macron è una leadership moderna, costruita secondo gli aspetti del marketing politico e presentata in maniera quasi cinematografica agli elettori.
La settima fase del modello MOP è quella dell’elezione. Al primo turno delle Presidenziali, Macron risulta il candidato più votato con il 24,01% seguito da Marine Le Pen ferma al 21%. Al secondo turno il leader di En Marche! ha ottenuto il 66% dei voti mentre la Le Pen ha raggiunto il 34%.
L’ultima fase è quella del delivery, la fase in cui il partito deve cercare di portare a termine quanto promesso nel proprio programma elettorale e ha il compito di “consegnare” il proprio prodotto politico al governo del paese.
En Marche! è diventato La Republique in Marche! e un tratto saliente del macronisme, quello di essere una forza politica “neutra”, ha iniziato a sperimentarsi con la gestione del potere.
Con quali conseguenze? Le criticità sono aumentate e hanno portato ad un progressivo calo dei consensi.
Macron ha strutturato una presidenza personale, superando anche alcuni eccessi di Nicolas Sarkozy. La lunga camminata la sera dell’elezione lungo il cortile del palazzo del Louvre, con la piramide sullo sfondo, ricalca fortemente lo stile di Mitterand e ha dimostrato alcuni tratti caratteriali tenuti nascosti in campagna elettorale.
Il leader di En Marche!, inoltre, ha caratterizzato i suoi primi passi all’Eliseo per alcune misure fortemente controverse. Alcune riforme, infatti, sono state rallentate per le forti opposizioni nei palazzi della politica e nelle strade del paese. Queste criticità hanno reso meno chiaro e lineare il racconto della presidenza Macron.
L’ubiquità mediatica e narrativa dal 2018 ha portato alla messa in scena di una serie di inciampi che hanno evidenziato la fragilità del racconto e delle immagini quando erano “sostenuti dalla hybris alimentata dal potere mediatico”.
Dopo quattro anni all’Eliseo, Emmanuel Macron si è trovato ad avere una popolarità superiore solo a quella di Hollande e inferiore a quella di tutti gli altri presidenti della Quinta Repubblica dopo il medesimo lasso di tempo. Oltre i 2/3 dei francesi lo considerano arrogante e autoritario (anche se gli viene riconosciuto il tratto del dinamismo), e solo il 44 per cento gli riconosce ancora la capacità di riformare il paese. Quest’ultimo dato, tra l’altro, è in costante calo.
L’anniversario dei primi 4 anni di Presidenza ha rappresentato l’occasione per lanciare una campagna di rendicontazione sociale sul sito transformer.en-marche.fr.
“On l’a dit, on le fait” è il claim di questa lunga carrellata di riforme realizzate nel corso dell’attuazione del programma elettorale presentato nel 2017. Dalle promesse ai fatti, quindi, per informare i cittadini che questo nuovo modo di fare politica non si limita ai proclami ma è in grado di garantire concretamente le riforme che migliorano la qualità della vita.
Sul portale è presente anche un contatore delle misure politiche poste in essere in questi anni all’Eliseo: 82 misure sono state realizzate e 44 sono in corso. 12 riforme devono essere ancora realizzate, ma la presidenza Macron ha un altro anno di tempo prima di presentarsi alla nuova sfida elettorale.
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Alla prova del potere Macron appare come un leader cool e pop, che ha caratterizzato la propria immagine con la speranza in un futuro migliore e indica il centro – e quindi senza alcun conflitto tra parti contrapposte – come il luogo dove realizzarlo con politiche pubbliche ragionevoli fatte con un po’ di destra e un po’ di sinistra.
Ecco che ritorna l’identificazione del macronisme con una certa liquidità concettuale. In campagna elettorale era il “neutro”, all’Eliseo è diventato la “neutralità. L’immagine di Macron continua ad essere quella di un leader che non è di destra né di sinistra, impegnato a mediare costantemente tra un estremo e l’altro per creare le condizioni migliori per riconciliare una nazione in crisi di identità.
L’esercizio del potere di Macron è un’ampia impresa di “neutralizzazione” tra due opposti, tra due concetti, tra due aspetti diversi. E Macron punta in questo scontro concettuale a porsi come il centro, il giusto mezzo che compone e ricompone le contraddizioni e gli estremi. La neutralizzazione è allo stesso tempo politica, di governo, estetica e mediatica ed è ormai un elemento fondante del macronisme.
Una narrazione che gli ha fatto vincere le elezioni del 2017, e che tra alti e bassi ha cercato di raccontare momenti difficili come la pandemia, durante la quale è venuto fuori un nuovo decisionismo che ha permesso di costruire un “modello francese” di gestione dell’emergenza sanitaria. I sondaggi, infatti, sembrano indicare una lieve risalita e nonostante il tonfo de “La Republique En Marche” alle amministrative del 2021, la figura di Macron sembra essersi risintonizzata con l’animo dei francesi. Le criticità permangono, è ovvio, ma si tratta ad ogni modo di un segnale di rinnovamento in vista delle elezioni presidenziali del 2022.
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